Suonare News 0 1996
 

Un pianoforte da leggenda
di Antonio Garbisa

Troppo bello per essere vero. Un sogno ad occhi aperti per giovani pianisti e una realtà felice per quelli già affermati. Perché lo Steinway racchiude in sé tutte le doti del grande strumento: è unico nel suono ed elegante nella forma. E da più di un secolo non teme confronti, nonostante numerosi tentativi di imitazione, tanto che può permettersi di guardare dall'alto in basso la concorrenza. Forte anche del fatto che di lui si sono innamorati musicisti illustri come Richard Wagner e Franz Liszt. E generazioni di pianisti, da Vladimir Horowitz a Arturo Benedetti Michelangeli, da Krystian Zimerman a Radu Lupu. Heinrich, il fondatore Una storia semplice, che sembra tratta da un libro di favole. Corre l'anno 1836 quando a Seesen, piccola cittadina dello Harz, nel cuore della Germania, un giovane falegname, di nome Heinrich Engelhardt Steinweg fabbrica il suo primo pianoforte. Strano tipo questo Heinrich, ritratto sempre in pose austere, il sorriso appena accennato in un viso dai lineamenti duri. Fa le ore piccole per lavorare nella sua bottega di artigiano, pensando a qualcosa di nuovo e di grande. Un polveroso e anonimo laboratorio che comincia molto presto ad andargli stretto. Perciò con pochi soldi, ma con molto sale in zucca, trasferisce armi e bagagli nella popolosa Hannover. E lì si ferma dieci anni lavorando dalla mattina alla sera. Sino a raggiungere la quota record di 482 pianoforti. È in questo periodo che il suo ingegno dà i frutti migliori, con la creazione dei primi brevetti. America, terra di conquista Che cosa vuole ottenere Steinweg dal pianoforte? Innanzitutto la qualità, quella del suono e del mobile in sé, perché si possa dire che il suo è il migliore pianoforte possibile. Nonostante la forte concorrenza, egli riesce sempre a piazzare i suoi strumenti presso le famiglie dell'alta borghesia tedesca. In questo modo i pianoforti Steinweg finiscono per fare bella mostra nei salotti più frequentati della Germania. E in tempi in cui gli spot televisivi e le insegne pubblicitarie sono cose da marziani, questa è la migliore promozione per i suoi prodotti. Tanto che case di costruzione illustri come Marius, Schröter, Silbermann e Zumpe cominciano a risentirne. Una gran lenza d'uomo questo Heinrich, che non si ferma neppure davanti a un successo così forte. Comincia allora a tentare la fortuna in altri Paesi. E quale occasione migliore se non quella di sbarcare in America? Qui manda in avanscoperta il figlio secondogenito Charles, coinvolto, fra l'altro, nei moti rivoluzionari del 1848. Oltreoceano – papà Heinrich ne è sicuro – potrà mettere la testa a posto. Insomma, quello che si dice, prendere due piccioni con una fava. Sondato il terreno nell'America del Nord e fiutata aria di dollaroni, Charles si fa raggiungere dalla famiglia. Subito il patriarca Heinrich, con mogli e figli appresso, s'imbarca su di un piroscafo alla volta di New York. La nuova residenza è il numero 82-88 di Walker Street. In Germania, a curare gli interessi della ditta, rimane il primogenito Carl Friedrich Theodor, che tanta parte avrà nel destino dell'azienda. la nascita della Steinway & Sons Ma per gli americani quel cognome tedesco è difficile da pronunciare, così tremendamente straniero per le loro orecchie. Per cui, senza pensarci su due volte, si decide di americanizzarlo in Steinway. D'ora in avanti, Steinway & Sons sarà il marchio inconfondibile degli strumenti successivi al 483, il numero di matricola dove si è fermata la produzione tedesca. Dal 1853 in poi, più di 100 brevetti segnano la storia del pianoforte. Tanto che ancora oggi i principi costruttivi sviluppati da Steinway sono di importanza fondamentale per la fabbricazione dei pianoforti a coda e verticali di tutto il mondo. Ma già nel 1855, quando lo Steinway vince il primo premio all'American Institute Fair, l'importante fiera di New York, si capisce chi è il più forte. E senza montarsi la testa, con l'umiltà dei grandi, Heinrich e i suoi figli continuano nella ricerca di un suono sempre più ricco e perfetto. È così che, nel 1859, con l'applicazione dell'incrocio delle corde sul pianoforte gran coda, si arriva ad un aumento considerevole del volume di suono. Sfruttato prima soltanto dai costruttori di pianoforti a tavolo, questo brevetto è opera di Henry junior, degno erede del padre. Come in tutte le favole, anche in questa arriva inatteso un momento drammatico, che per gli Steinway coincide con la morte improvvisa di due dei loro figli. Un lutto che costringe il primogenito Carl a lasciare la Germania e a cedere la ditta al socio Friedrich Gotrian, da cui la casa Gotrian-Steinweg, tuttora esistente. Una volta arrivato a New York, Carl prende in mano le sorti della fabbrica, deciso come non mai a raggiungere nuovi traguardi. Dalla sua ha anche una buona conoscenza scientifica. Ragion per cui vuole personalmente ristudiare il problema della sonorità, avvalendosi dell'amicizia del fisico Hermann Helmholtz, autore di un fondamentale trattato sul suono. I primi riconoscimenti internazionali E i frutti della ricerca non si fanno attendere: all'Esposizione universale di Parigi del 1867 il pianoforte a coda Steinway strabilia tutti per sonorità e meccanica. Ma che cosa è successo? La piastra in ghisa e le cordiere sovrapposte consentono un rinforzo delle risonanze tale da ottenere un suono più ricco e potente. Non sembra quindi esagerato il foglio pubblicitario del tempo che dice: «New York può vantarsi di possedere con la Steinway, famosa in tutto il mondo, non solo la più grande fabbrica di pianoforti ma senza ombra di dubbio anche la più importante del mondo». E i dati sono lì a dimostrarlo. Una produzione di duemila pianoforti all'anno, con un guadagno lordo di 1.200.000 dollari, mentre la concorrente di Boston, la Chickering, ne guadagna appena 820 mila. A quel punto, anche le rivali europee, come Bechstein e Blüthner, cominciano ad avere un calo notevole nelle vendite, come riferisce la rivista Amadeus dell'aprile ‘95. Nel frattempo, a New York, si spegne il vecchio Heinrich circondato dall'affetto dei figli che gli promettono, in punto di morte, di portare alto nel mondo il nome degli Steinway. Cosa che succede di lì a poco, nel 1872, quando Carl inventa il brevetto “Cupola Iron Frame”: un telaio del pianoforte grancoda interamente metallico e fuso in un unico blocco, che rende definitivamente imbattibile lo Steinway, richiestissimo ora anche in Europa. L'avventura europea Per questo si decide di aprire immediatamente una prima filiale a Londra nel 1875 e poi, nel 1880, la seconda fabbrica nella Schanzestraße di Amburgo. Così da mettere fine ai lunghi e costosi trasporti per nave che fanno lievitare il prezzo dei pianoforti. Ecco allora chiaramente delineate le aeree di dominio: New York rifornisce le due Americhe, Amburgo il resto del mondo. Dopo la morte del fondatore, la politica aziendale viene modificata e la nuova struttura tende a somigliare a una catena di montaggio. La Steinway è allora costretta a crearsi una propria fonderia per la produzione dei telai in ghisa e dei martelletti, accantonando per un po' la sua prerogativa artigianale. Una scelta che, nel tempo, non si dimostra vincente, tanto da imporre un rapido ritorno alle origini. È storia di questi mesi l'acquisto della ditta da parte della Selmer americana – leader nella costruzione di strumenti musicali negli Stati Uniti – per la considerevole cifra di 100 milioni di dollari (oltre 160 miliardi di lire). la fabbricazione Un valore tutto sommato ragionevole vista l'imponenza dell'attuale industria Steinway. Sì, perché il metodo di lavoro è ancora per l'80 per cento artigianale. Si va dalla scelta accurata del materiale, ottimale per l'acustica, all'impiego di giunti esclusivamente in legno. Basti poi pensare che una volta segati, i legni vengono lasciati asciugare e stagionare sino al punto di consentire un trattamento ideale. Stessa sorte per la lavorazione del ferro, del feltro, della colla e delle pelli, tutti prodotti di primissima qualità. Con un personale altamente specializzato che partecipa a un corso di tre anni e mezzo prima di iniziare a lavorare. Circa lo stesso tempo che impiega uno Steinway per uscire dalla fabbrica. E ogni Steinway ha una sua anima, come sanno bene gli accordatori. L'accordatura «Il rapporto che, per un concerto, si instaura fra lo strumento e l'accordatore è molto simile a quello che si viene a creare fra un pilota di Formula Uno e il suo meccanico. Si deve cercare di adattare il pianoforte alle esigenze dell'artista per fare in modo che l'interprete dia il meglio di sé». Sono parole di Sandro Chiara Vailati che, insieme con Silvano Carnazza ed Enzo Corlito, ha costituito la società Piano & Forte s.n.c., scelta dal Teatro alla Scala di Milano per l'accordatura e la manutenzione dei pianoforti. «Siamo impegnati sei giorni su sette in teatro per l'assistenza», spiega Corlito, «per accordare gli oltre 40 pianoforti e i due clavicembali di cui l'Ente dispone». Oltre a questa mole di lavoro, si deve aggiungere la collaborazione con Angelo Fabbrini, uno dei più quotati accordatori a livello mondiale, che ha scelto la Piano & Forte per assicurare ai suoi Steinway Grancoda, la manutenzione e l'assistenza per molti dei concerti nel nord Italia. «Questo è un momento di grande crescita, perché ci permette di confrontarci con un accordatore del calibro di Fabbrini e con pianisti di levatura internazionale», spiega Silvano Carnazza. Ogni Steinway ha delle caratteristiche specifiche che vanno rispettate e compito dell'accordatore è quello di esaltare i pregi del singolo pianoforte. Aggiunge Corlito: «Quando ci è possibile, cerchiamo di far scegliere all'artista il pianoforte a lui più congeniale tra i nostri Steinway da concerto». Bisogna poi considerare che per accordare un pianoforte da concerto sono necessarie circa due ore di lavoro, senza contare la preparazione a monte, vale a dire intonazione e regolazioni, che richiede anche diversi giorni. La messa a punto finale avviene sempre insieme con il pianista. «È questa la parte più entusiasmante del nostro mestiere», afferma Sandro Chiara, «quando si riesce a lavorare in un continuo scambio di impressioni e di suggerimenti con l'artista». «Ma non basta», interviene Enzo Corlito. «La Steinway dedica un'attenzione particolare alla selezione dei concessionari, con numerose occasioni di crescita professionale per i tecnici». Proprio per questo motivo è possibile frequentare stage di confronto con personale specializzato della casa madre. Nei prossimi mesi infatti, Carnazza e Chiara partiranno alla volta di Amburgo per passare quattro settimane in fabbrica. «Avremo così l'occasione di lavorare a stretto contatto con chi crea questi pianoforti», dichiara entusiasta Carnazza. «E insieme con un accompagnatore, uno dei capo-tecnici della Steinway, ci soffermeremo nei reparti dove si eseguono le lavorazioni per noi più interessanti, quali l'intonazione e la finitura dei grancoda da concerto». Già, perché il pianoforte Steinway è costruito in modo tale da avere un suono ricco di armonici. Spiega Chiara: «Questa caratteristica impone all'accordatore una particolare accortezza nel suo lavoro, e un tecnico che non ha confidenza con lo Steinway può trovarsi in notevoli difficoltà nei medi e negli acuti. Con il rischio di far sembrare eccessivamente aggressivi quei registri, critica che troppo spesso viene rivolta allo strumento». Ma, per una resa migliore in sala, è anche importante la posizione del pianoforte sul palcoscenico. I più grandi artisti vi dedicano una cura particolare. E con il loro accordatore vanno alla ricerca del punto magico, in un continuo scambio dalla tastiera alla platea. Per un'acustica che sia realmente degna del grande Steinway. BOX: BOX Steinway 1 Loro lo giudicano così Quando misero mano a uno Steinway per la prima volta erano praticamente ‘in fasce’. Così è stato per Andrea Lucchesini e Pietro De Maria, due concertisti allievi di Maria Tipo. «E proprio in casa della signora Tipo scoprii lo Steinway », spiega Andrea Lucchesini, classe 1965. «Allora studiavo su un altro pianoforte e notai subito una differenza enorme, non solo per il suono e le possibilità espressive, ma soprattutto per la pesantezza della tastiera. Ero abituato su un pianoforte dalla tastiera molto leggera». Non fu dunque amore a prima vista? «Ma certo, anche perché il suono era pastoso, rotondo e, allo stesso tempo, brillante nel registro acuto. Ora studio su uno Steinway B-211, ideale per Beethoven e i contemporanei». A quanto pare, nessun problema. «No, a patto che ci sia un accordatore in gamba, che sappia valorizzare lo strumento». Giudizio condiviso anche da Pietro De Maria, 28 anni, che il 25 gennaio terrà a Roma un concerto alla Filarmonica. «Avevo 10 anni quando ho suonato su uno Steinway», racconta De Maria. «È fantastico, ma è difficile parlare in generale, perché ogni strumento ha una sua voce». Ricordi particolari? «Forse l'emozione più grande me l'ha data durante una serata a Monaco di Baviera. Era un concerto sponsorizzato dalla Steinway e l'accordatore era un giapponese molto simpatico, un tecnico della casa madre. Beh, quando ha finito di accordare non ho avuto proprio niente da dirgli. Era tutto favoloso. Ecco, credo che solo lo Steinway possa far vivere la musica in maniera così totale, senza porre limiti all'interprete». BOX Steinway 2 Curiosità in cifre Due soli i modelli di pianoforte verticale, contro i sette a coda. Una vocazione innata, dunque, per le grandi esibizioni. E non potrebbe essere altrimenti. Dodicimila pezzi, dei quali mille per la sola meccanica. Un assemblaggio di materiali pregiati come il faggio, il mogano africano e l'acero, fatti stagionare all'aperto per due anni prima di essere incollati e curvati per formare il mantello. Ottantotto il numero dei martelli, per un suono pieno ed equilibrato che fa dello Steinway uno pianoforte unico. Tre anni di lavorazione prima di uscire dalla fabbrica di produzione. Da 10 e 15 sono gli anni in cui si mantiene il valore originario dopo l'acquisto. Se poi il marco fa i capricci con le sue impennate sulla lira, può accadere che a rivenderlo ci si guadagni pure. Alcune curiosità. Un modello a intarsi è stato costruito per l'ambasciata di Parigi nel 1912. Un altro fu regalato da Theodor Steinway al Presidente degli Stati Uniti Roosevelt nel 1938, con aquile in oro massiccio e incisioni che rappresentavano i motivi tradizionali della musica americana. Ma, più vicino ai giorni nostri, come non ricordare il bianco metallizzato del piano a coda di Elton John. Sicuramente un'altra musica anche per papà Steinway. Altri tempi, altre mode. Per informazioni ci si può rivolgere al rappresentante generale per l'Italia della Steinway & Sons: Strinasacchi s.n.c., via Quattro Novembre 11/B, 37126 Verona, tel. 045-8345692, tel. 045-8301837.

 

 

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