Dalla banda alla Scala
di Filippo Michelangeli
Ha ancora i calzoni corti Federico quando inizia a suonare nella banda di Ostra Vetere, in provincia di Ancona. Da allora ne ha fatta di strada e oggi, a 39 anni, Mondelci è uno dei più noti sassofonisti europei.
Docente al Conservatorio di Pesaro, concertista, vice-presidente dell’Associazione sassofonisti italiani e promotore di uno stage internazionale a Fermo, nelle Marche, che ogni anno richiama decine di professionisti da tutto il mondo. Si è esibito nei teatri più prestigiosi e nell’86 ha debuttato alla Scala con la Rapsodia di Debussy, accompagnato dalla Filarmonica diretta da Seiji Ozawa.
Il sassofonista è ancora un musicista a parte?
Purtroppo sì, perché le grandi istituzioni recepiscono ancora con difficoltà le proposte di programmi per sassofono “classico”. E le società di concerti italiane sono proiettate verso il repertorio classico-romantico. Pensi che dopo il mio concerto alla Scala, più di dieci anni fa, il sassofono non ha più entrato come solista nel massimo teatro milanese.
Esiste una scuola italiana di sassofono?
Sì. In Italia il sax a livello didattico nasce intorno agli anni Sessanta con i primi corsi al Liceo musicale di Salerno. Non era una cattedra vera e propria, ma si ispirava a un programma di tipo classico. Il primo conservatorio ad accoglierlo come insegnamento è stato Pesaro, durante la direzione di Marcello Abbado. La scuola italiana si è ispirata al modello francese, come per gran parte degli strumenti a fiato. I pionieri sono stati i fratelli Alberto e Ugo Fusco e Baldo Maestri, poi sono arrivati Eraclio Sallustio e il maestro Galligani che insegnava a Perugia. Provenivano tutti da un’esperienza non propriamente classica, Galligani, per esempio, era jazzista, così come Baldo Maestri; altri come Mauriello erano diplomati in clarinetto, ma in orchestra (soprattutto nelle formazioni Rai) ricoprivano anche il ruolo del sax.
Oggi quante cattedre ci sono nei conservatori?
Circa 75 distribuite in tutt’Italia. E continuano ad aumentare. Mentre trovo scandaloso che Roma sia l’unica l’unica capitale europea dove il sax non è incluso nel piano di studi del conservatorio.
Lei è nato sassofonista o clarinettista?
Sassofonista al cento per cento. Non ho mai suonato il clarinetto. Suono tutti i tipi di sassofono: dal sopranino al basso. Ho studiato canto, composizione e direzione d’orchestra. Come tanti musicisti mi sono avvicinato agli strumenti a fiato attraverso la banda del paese, nel mio caso Ostra Vetere in provincia di Ancona. Poi sono passato all’orchestra di musica leggera dove ho lavorato anche con Giovanni Fenatti, un noto arrangiatore della Rai. Ho fatto le superiori e parallelamente il Conservatorio di Pesaro, dove sono orgoglioso di aver studiato con Romano Mauriello.
Quando ha capito che con il sassofono avrebbe avuto a che fare per tutta la vita?
Sono stato molto incoraggiato dal mio maestro Mauriello. Credeva nel mio talento. Dopo i primi concorsi mi sono accorto che vincevo sempre.
E l’attività concertistica?
Dopo il diploma ho fatto un corso all’Accademia Internazionale di Nizza, lì ho conosciuto Jean Marie Londaix e nell’81 sono tornato in Italia e ho cominciato subito a suonare. Ho fondato un quartetto, l’Ensemble Italiano di Sassofoni, con Mario Marzi al tenore, Massimo Mazzoni al baritono, Marco Gerboni al contralto e io al soprano, con il quale lavoro molto e con cui inciso un disco.
Lei svolge un’attività concertistica importante, perché non rinuncia al conservatorio?
In Italia è impossibile, anche per le grandi associazioni concertistiche, fare una programmazione che vada al di là dei dodici-quindici mesi. Ci sarebbe troppa insicurezza.
Ha un agente?
Ho avuto per anni un agente, ma ho rinunciato perché in Italia gli agenti funzionano solo per gli artisti che non ne hanno bisogno, nel senso che si vendono da soli.
Quale strumento preferisce?
Suono su un Selmer. È il migliore.
Il sassofono, più che uno strumento è una famiglia. Averli tutti é un investimento.
Ci sono sei modelli, dal sopranino al basso. Scegliendo soltanto il quartetto degli strumenti principali, tenore, baritono, contralto e soprano, siamo nell’ordine dei venticinque milioni di lire. Soltanto il basso, però, ne costa trenta.
Da quanto tempo insegna al conservatorio?
Da diciassette anni.
Che cos’è cambiato in questo periodo nel mondo della didattica ?
C’è stata un’esplosione nel numero di classi. Tuttora ho delle richieste da persone che vengono da fuori regione. L’allievo migliore che ho avuto è Daniele Comoglio, che veniva da Vercelli. Ma adesso c’è una maggiore possibilità di studiare a livello locale. Io stesso tengo dei corsi estivi all’Accademia di Portogruaro e degli appuntamenti mensili a Senigallia.
Parliamo dello Stage internazionale di Fermo. Di che cosa si tratta?
Volevamo incrementare le attività dell’Associazione sassofonisti italiani, di cui sono attualmente il vice-presidente, mentre il presidente è Massimo Mazzoni. Abbiamo visto che c’era l’esigenza di confrontarsi anche su vari aspetti della didattica. C’è stata molta confusione quando il sassofono è entrato in conservatorio perché si sono riversate due categorie di docenti: quelli con una formazione classica e quelli con una formazione jazzistica. E le due ‘correnti’ sono entrate subito in conflitto sui programmi di studio e d’esame. Le tensioni nascono dal fatto che ci sono ancora degli irriducibili che suonano il Concerto di Ibert o la Rapsodia di Debussy in stile jazz. Lo stage internazionale di Fermo vuole creare una specie di “cenacolo” intorno al sassofono classico. Noi adottiamo un certo tipo di suono, di tecnica, di emissione che ci permette di inserirci anche in formazioni miste, accanto ad altri strumenti.
I sassofonisti classici suonano anche il jazz?
Io personalmente no.
Non sarà che non le piace?
Ho un rifiuto del jazz accademico. Mi spiego: qual è la sua didattica? Studiare le scale di Charlie Parker per cinque o sei anni. Il jazz non si insegna: è un percorso creativo individuale che può nascere solo da una vocazione. Si possono teorizzare soltanto le basi.
Lei è anche direttore artistico della stagione dell’Ente Concerti di Pesaro.
È una stagione prestigiosa attiva dal 1961. Sono diventato direttore artistico tre anni fa e da allora cerco di far lavorare artisti italiani. Ogni tanto, se capita, inserisco anche un concerto di sassofono. Perchè il sax deve avere le stesse opportunità degli altri strumenti.
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